La cosa più frustante di questi tempi per un militante del P.D. è l’impressione che l’opinione pubblica ci percepisca come irrilevanti e ininfluenti. Poco importa se ciò corrisponda o meno alla realtà, poiché la politica italiana per molti sembra rinchiudersi nella faida intestina del centro destra. D’altra parte non aiuta l’opinione pubblica a cambiare idea il nostro dibattito interno, spesso poco interessante anche per militanti ed addetti ai lavori: primarie o non primarie, alleanza con Di Pietro o con Casini, governo di transizione o elezioni, Vendola o Chiamparino candidati premier? Non nego che si debba parlare anche di questo, ma il punto è che non riusciamo a lanciare un messaggio chiaro nella forma e convincente nella sostanza, che riproponga il P.D. al centro dell’interesse degli Italiani.
Che fare? Non ho la presunzione di avere la panacea, ma semplicemente vorrei suggerire qualche riflessione sui contenuti, non dimenticando che ad essi va associata anche un’efficacia mediatica, che non faccia appisolare l’opinione pubblica, quando parlano i nostri dirigenti.
Giustizia, federalismo, mezzogiorno, fisco sono i quattro temi che Berlusconi vuole usare come una clava contro i finiani e per lanciare eventualmente la campagna elettorale. Potrebbero essere, oltre ad altri come quello delle risorse energetiche e dell’economia, di cui dirò un paio di cose alla fine, anche i nostri, cambiati ovviamente di segno.
E’ così difficile ribattere a Berlusconi, sul tema giustizia, che noi non siamo per sottomettere i giudici ai politici per difendere la casta, ma siamo per valorizzare il lavoro della magistratura contro ladri e malfattori piccoli e grandi?
E’ così difficile affermare, a proposito di federalismo, che noi non vogliamo acquistare a scatola chiusa una merce senza avere un’idea del prezzo? Perché a questo ci stanno portando Bossi ed il suo compagnone di merenda: approvare tutti i decreti attuativi della riforma, senza che si sappia se si andrà incontro ad un risparmio o se aumenterà la spesa complessiva del Paese.
E sul fisco ci vuol tanto a dire che noi vogliamo una riforma che, senza punire chicchessia, distribuisca diversamente il peso fiscale tra i cittadini, alleggerendo le imposte ai ceti meno abbienti, non ai più ricchi; occorre mettere nero su bianco quattro o cinque punti precisi e comprensibili, senza dimenticare che una proposta forte sul fisco potrebbe favorire un terreno di incontro con il sindacato, CISL in particolare, che da mesi sta agitando la questione.
Sul mezzogiorno, oltre a cogliere qualche aspetto positivo contenuto nella manovra del governo (tassazione di favore), il meridionalismo non straccione e assistenziale dovrebbe essere nel nostro DNA, per cui non dovrebbe esserci difficile rispolverare qualche punto, che parli alla gente del sud, in tema di incentivi al lavoro e di opere pubbliche e infrastrutturali fondamentali, rifiutando scelte faraoniche come il ponte sullo stretto.
A questi temi non possiamo non aggiungere quelli tipicamente nostri dell’economia e del lavoro, dell’energia e della scuola. Sul primo, a fronte di giudizi fin troppo benevoli da parte dei quotidiani “indipendenti” (vedi Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera di domenica 9 agosto) noi, ribadendo la non equità della manovra, la sua scarsa funzionalità al rilancio dello sviluppo (non basta certo incentivare, detassandolo, il salario di secondo livello), poche e chiare cose da proporre le abbiamo: stimoli veri alla produzione (torna il problema di detassare il lavoro, a scapito finalmente della rendita) ed al rilancio dell’occupazione (rivedendo la questione degli ammortizzatori sociali e avviando il nostro paese verso un effettivo sistema di flessibilità e sicurezza, riprendendo qualche punto delle varie proposte Boeri, Ichino, Fassina) . Sull’energia, a fronte della forzatura nuclearista in atto nel Paese, dobbiamo riproporre ciò che era nei programmi di Bersani, Franceschini e Marino, candidati alla guida del partito, i quali, con sfumature diverse, privilegiavano la cosiddetta green economy. Sulla scuola e la formazione, facciamo sentire il nostro disappunto verso un governo che taglia sempre nei settori della formazione, della ricerca e della cultura, diversamente da una Merkel che, a fronte di una manovra di 80 mila miliardi di euro in quattro anni, non tocca quei settori fondamentali per lo sviluppo di qualsiasi Paese.
E infine spendiamoci maggiormente su temi di facile presa, anche con un pizzico di demagogia se necessario, temi che sicuramente portano consensi: i privilegi della “casta”e gli sprechi istituzionali (le province dichiarate intoccabili dalla Lega, pur in presenza dell’opzione federalista; il numero dei parlamentari, con un senato che è numericamente tre o quattro volte a quello degli U.S.A; le prebende dei parlamentari, ecc.).
Fatta la debita chiarezza programmatica, , avviamoci pure, senza eccessivi timori o psicodrammi alle elezioni, se si faranno (cosa probabile) o partecipiamo ad un governo di transizione, se si farà (cosa assai difficile). Una volta che abbiamo definito un messaggio convincente per gli elettori, possiamo affrontare serenamente il probabile passaggio elettorale, chiarendo anche la questione delle alleanze e della leaderschip o delle leaderschip (possibilmente lasciando spazio a facce nuove, senza soffocare, a vantaggio dei soliti ultra sessantenni e ultrasettantenni le tante forze giovanili che bene stanno operando ai vari livelli territoriali). Non si abbia paura di andare alle urne, anche perché pochi, a tutt’oggi, hanno di che essere ottimisti, a parte forse la Lega, di cui però dovremmo evidenziare le contraddizioni tra parole d’ordine e risultati tutt’altro che esaltanti; lo stesso Berlusconi non dovrebbe dormire sonni troppo tranquilli all’idea di consegnare sempre più potere a Bossi ed ai Padani in pegno delle sue immunità o impunità, con un Fini che, se non viene troppo azzoppato dalla vicenda in cui è protagonista il suo sciagurato cognato, potrebbe giocare qualche brutto scherzo in termine di voti, nonostante i rassicuranti sondaggi del cavaliere.